

Esecutore: Miles Davis,tromba; Steve Grossman, sax soprano; John McLaughlin, chitarra elettrica; Herbie Hancock, organo elettrico; Michael Henderson, basso elettrico; Billy Cobham, batteria. Orchestra diretta da Teo Macero
Autore: Miles Davis
Numero dischi: 1
Barcode: 0194399826218
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Miles Davis – Omaggio a Jack Johnson
Edizione su SuperVinyl da 180 grammi a tiratura limitata e numerata
Il leggendario album del 1971 in una riedizione dalla qualità sonora di esuberante brillantezza
«La più straordinaria band di rock and roll che vi sia mai capitato di ascoltare»: Miles Davis, John McLaughlin e gli altri componenti della band fanno genialmente coesistere la fusion elettrica con un rock molto grintoso e il funky, rendendo un meraviglioso omaggio a Jack Johnson.
A detta di moltissimi addetti ai lavori, A Tribute to Jack Johnson di Miles Davis sarebbe di gran lunga il migliore album di jazz-rock di sempre. Spinto dal desiderio di mettere insieme «la più straordinaria band di rock and roll che vi sia mai capitato di ascoltare», dalla sua sconfinata ammirazione per Jack Johnson e per le politiche del Black Power, Davis diede vita a un album veramente irresistibile, nel quale trovano egualmente spazione l’eccitazione, l’intensità, la grandezza e un’incontenibile energia. Coniugando la fusion elettrica che aveva seguito nei suoi dischi precedenti con un approccio ritmico più funky e ammiccante, in A Tribute to Jack Johnson Davis si concentra sui concetti di spontaneità, libertà e identità che aveva raggiunto solo di rado negli studi di registrazione e che erano stati accettati addirittura raramente dal mainstream.
Rimasterizzata a partire dai nastri analogici originali, stampata sull’escusivo SuperVinyl della Mobile Fidelity e custodito in una elegante confezione realizzata dalla Stoughton Printing, questa riedizione su vinile da 180 grammi consente di vivere un’esperienza d’ascolto di incredibile realismo. Grazie al rumore di fondo pressoché nulla del SuperVinyl della Mobile Fidelity, alla superba definizione dei microsolchi e alla straordinaria silenziosità delle facciate, questo LP da 180 grammi vi permetterà di notare dettagli che nelle precedenti ristampe rimanevano regolarmente in secondo piano, come la ricchezza sonora degli assoli al calor bianco della tromba di Davis, il morbido spegnersi del suono dei piatti della batteria, il rumore delle corde della chitarra e gli echi dello studio, al punto che chiudendo gli occhi avrete l’impressione di essere seduti di fronte al grande Miles e alla sua band.
Sostenuti da una incontenibile esuberanza, i passaggi più acuti di Davis esplodono con grande autorità e una presenza dominante. Intorno a lui, si manifesta una marea di riff taglienti e flessuose linee di basso emergono su sfondi neri. Una delle differenze più evidenti che i fan di lunga data di Davis non mancheranno di notare è quanto la musica appaia più aggressiva, immediata e vibrante, aspetti che erano al centro dei desideri originali del compositore.
Utilizzando il wah-wah e la distorsione, il chitarrista John McLaughlin, strumentista di riferimento delle performance, attacca con un piglio deciso, uno stile tagliente e una vena viziosa, che permettono all’album di superare il confine – fino a quel momento ritenuto assolutamente impenetrabile – tra il rock e il jazz. Da parte sua, Davis mette con decisione entrambi i piedi nel primo campo e cancella ogni divario. Le storie che girano sulla realizzazione di questo disco sono leggendarie quasi quanto il suo travolgente sound: con due sessioni di registrazione, parecchie jam session, diversi gruppi di musicisti (molti dei quali non accreditati) e un perfezionismo di produzione quasi miracoloso, che ha contribuito a fare apparire il tutto coeso.
Di gran lunga il più sottovalutato capolavoro della carriera discografica di Davis, questo album uscito nel 1971 – che potrebbe quasi essere stato assemblato e preparato per la pubblicazione dal producer Teo Macero – fu in realtà vittima della limitata promozione fatta dall’etichetta. Inoltre, il pubblico non riuscì a farsi subito un’idea precisa della sua copertina originale, che viene fedelmente riprodotta in questa riedizione. Inoltre, la Columbia Records fece tutto il possibile per concentrare l’attenzione degli appassionati su Miles at Fillmore, un disco del tutto diverso, che vede grande protagonisti i due tastieristi. In altre parole, A Tribute to Jack Johnson era nato in un universo completamente diverso, che guardava decisamente al futuro. Infatti, secondo il giudizio di molti autorevoli addetti ai lavori che lo ascoltarono con grande attenzione – tra cui il celebre critico e musicista Robert Quine, il leader degli Stooges Iggy Pop e il famoso critico Robert Christgau – questo disco superò di gran lunga sotto il profilo artistico tutti gli album realizzati in precedenza da Davis.
In effetti, Davis considerò sempre questo disco come un suo manifesto personale, l’occasione ideale per rendere omaggio al pugile nero campione del mondo, ammirato per la sua immagine minacciosa nei confronti dell’establishment e per il suo gusto impeccabile in fatto di vestiti, automobili, donne e musica. Davis spiega nelle note di copertina la sua affinità con Johnson – una posizione che viene rispecchiata dalla sua musica audace, che colpisce con la forza di un pugile e riflette la leggiadra eleganza con cui un pugile si muove sul ring – e chiude l’album con una citazione di Johnson letta da Brock Peters.
Ispirato non solo da Johnson, ma anche da Jimi Hendrix e da Sly Stone, in questo album Davis cambiò sia il suo approccio sia la sua band, circondandosi di un gruppo di musicisti ventenni e, nel caso del contrabbassista Michael Henderson, di un diciannovenne appena tornato da una tournée con Stevie Wonder. Henderson diede a Davis esattamente ciò che chiedeva, ossia groove a base di boogie che non perdono forma o direzione. Il sassofonista soprano Steve Grossman, il batterista Billy Cobham e l’organista Herbie Hancock aderiscono a un’estetica simile, che premia la sfrontatezza, l’innovazione e l’energia.
In questo senso, in una parte di “Yesternow” Davis passò a una performance separata (che divenne nota nella sua interezza come “Willie Nelson”) suonata dai chitarristi McLaughlin e Sonny Sharrock, dal clarinettista basso Bernie Maupin, dal tastierista Chick Corea, dal contrabbassista Dave Holland e dal batterista Jack DeJohnette. Un brano da ascoltare con la massima attenzione!
Parlando con lo studioso di jazz Bill Milkowski – che a sua volta ha notato come lo stile sfrenato di McLaughlin, i suoi volumi a prova di decibel e i suoi rapidi accordi di potenza lo abbiano avvicinato al pubblico del rock, mentre le sue armoniche e le sue sincopi lo rendevano sicuramente un jazzista – il chitarrista Henry Kaiser ha riassunto parte del fascino di A Tribute to Jack Johnson come nessun altro, dicendo: «È un disco di jazz molto più aperto di altri dischi di jazz dell’epoca, ma non ancora free jazz. In “Right Off” la chitarra ritmica (di McLaughlin) – con il suo uso di accordi diversi in uno shuffle rock rispetto a quelli usati in precedenza – era veramente rivoluzionaria».
E pensare che questo è solo un aspetto di un disco che ne contiene molti. «Non bisogna mai farglielo dimenticare». Infatti.
Miles Davis, tromba; Steve Grossman, sax soprano; John McLaughlin, chitarra elettrica; Herbie Hancock, organo elettrico; Michael Henderson, basso elettrico; Billy Cobham, batteria. Orchestra diretta da Teo Macero
Lato A
Right Off
Lato B
Yesternow
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