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Esecutore: Fleetwood Mac
Autore: Fleetwood Mac
Numero dischi: 1
Barcode: 0821797228367
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Il leggendario Mirage dei Fleetwood Mac
SACD in edizione limitata e numerata
Un’immagine sonora dalla trasparenza e dalla chiarezza dei dettagli semplicemente ineguagliabili
Il capolavoro soft rock dei Fleetwood Mac con l’aggiunta di altri grandi successi, tra cui tre brani entrati nella Top 25
Se tutti i grandi artisti hanno nel proprio catalogo discografico qualche gemma sottovalutata, quella dei Fleetwood Mac è senza dubbio Mirage. Prevedibile ritorno a una relativa semplicità dopo le drammatiche tensioni di Rumours e le ambizioni sperimentali di Tusk, questo album del 1982 vede la band riunirsi dopo una breve pausa, per fare celermente ritorno ai vertici delle classifiche di tutto il mondo. Concepito, eseguito e prodotto con estrema cura e prestando la massima attenzione anche ai più piccoli dettagli, questo album vincitore di due Dischi di Platino distillò in maniera quanto mai nitida i principali punti di forza della band in un programma del tutto privo di brani banali e – anzi – con una serie di brani pop molto coinvolgenti e di accenti perfettamente calibrati.
Rimasterizzata in DSD a partire dai nastri analogici originali e presentata in una cover che riprende l’immagine di un LP in miniatura, questa imperdibile riedizione su SACD ibrido stereo a tiratura limitata e numerata della Mobile Fidelity si candida autorevolmente a diventare l’edizione di assoluto riferimento di Mirage. Gli sforzi compiuti dai coproducer e ingegneri del suono Ken Caillat e Richard Dashut per cogliere con la massima fedeltà possibile l’inimitabile sound di questa band frammentata ma formidabile possono essere apprezzati con una definizione, una ricchezza timbrica, una profondità e una risoluzione dei semplicemente sbalorditive. Per non parlare della chiarezza di riproduzione, che aiuta a non perdere nulla di ciò che era stato fissato su nastro.
Se Rumours si è comprensibilmente conquistato un posto di spicco nella hall of fame degli audiofili, i suoni morbidi, chiari e dinamici di Mirage confermano che questo album – che fu l’ultima fatica discografica dei Fleetwood Mac prima di una pausa di cinque anni – merita un posto nella stessa venerata arena. La precisissima definizione e l’impatto delle percussioni di Mick Fleetwood che si può percepire in questa imperdibile riedizione potrebbe farvi chiedere come questa fetta di beatitudine soft-rock sia passata inosservata per decenni.
Come per molti altri album realizzati dai Fleetwood Mac negli anni Ottanta, la registrazione di Mirage non fu affatto facile. Caillat cercò studi di registrazione al di fuori di Los Angeles con l’obiettivo di cambiare l’atmosfera delle precedenti sessioni della band. Tutti si stabilirono a Le Chateau in Francia, dove i rapporti tra alcuni membri rimasero gelidi e la collaborazione con i producer assunse livelli di grande tensione. Le dure battaglie combattute contro l’esaurimento, l’amarezza e la dipendenza hanno influenzato ulteriormente le sessioni di registrazione che si tennero in questo imponente castello del XVIII secolo situato nella campagna francese, dove anche i pasti comuni venivano presumibilmente consumati in silenzio.
Inevitabilmente, i sentimenti del coproduttore Lindsey Buckingham, Stevie Nicks, Christine McVie e gli altri membri dello staff, così come le situazioni in cui si trovavano, finirono per entrare nei brani dell’album. Durante la loro rapidissima ascesa allo status di rockstar internazionali, i componenti dei Fleetwood Mac si sono allontanati dalla band e hanno intrapreso carriere solistiche, per scoprire ben presto di sentirsi soli al vertice. Il vuoto, l’illusione dei sogni, la nostalgia dell’amore, il desiderio di fuggire verso tempi passati di innocenza e felicità sono solo alcuni dei temi che informano la maggior parte dei brani in programma. Questo avviene anche se i testi passano regolarmente in secondo piano rispetto agli arrangiamenti rilassati che permettono a Mirage di arrivare come una brezza rinfrescante in un soleggiato pomeriggio d’estate.
Grazie alla presenza di tre singoli entrati nelle Top 25 delle classifiche americane e alla permanenza per ben cinque settimane consecutive al primo posto della Top 200 degli album, Mirage può essere legittimamente considerato l’album più emblematico del genere mainstream dei primi anni Ottanta, conquistando il cuore di milioni di appassionati su entrambe le sponde dell’Oceano. Questo obiettivo fu raggiunto grazie a un calibratissimo mix di melodie zuccherose, calde armonie, note intrecciate, ritmi agili, strutture tese e voci appassionate. A tutto questo bisogna poi ancora aggiungere la presenza di quello che a detta di moltissimi rimane il brano più emblematico di Nicks, ossia “Gypsy”, un pezzo dai contenuti chiaramente autobiografici, che riflette la perdita del suo fidato amico Robin Anderson con toni che abbinano un grandioso rispetto, un persistente senso di mistero e un soffuso misticismo e viene valorizzato al massimo dalle note sfumate della tastiera di Buckingham e dai magniloquenti accordi della chitarra.
A parte la sua meritata fama di intramontabile classico del rock dei primi anni Ottanta, Mirage ha avuto un ruolo di primo piano nella svolta pop della band. A proposito di Nicks, la cantante adotta toni vagamente country in “That’s Alright”. Il suo ritmo incalzante e la sua inarrestabile progressione completano i sottili rigonfiamenti vocali che emergono durante la strofa finale di un brano che apparentemente parla di abbandono, ma che trasmette comunque un senso di perdono e grazia. E che cosa sarebbe un disco dei Fleetwood Mac senza che Nicks attinga agli strumenti del soprannaturale – carte sogni, lupi e simili – nella vorticosa “Straight Back”?
Nonostante la potenza della performance di Nicks, Mirage si presenta come una competizione serrata tra Buckingham e McVie, che alla fine si conclude con un giusto pareggio. Le salve di Buckingham includono la contagiosa “Can’t Go Back”, un anelito a viaggiare nel passato con tanto di cori; “Oh Diane”, una delizia per le orecchie fuori dal comune, addolcita da voci a singhiozzo e da un groove agitato con sale e pepe; “Eyes of the World” ed “Empire State”, un brano deliziosamente svolazzante i cui vocalizzi acuti e le eteree note dell’arpa e degli xilofoni squillanti sembrano voler prefigurare le galassie sonore che sarebbero esplose su Tango in the Night.
E poi c’è Christine McVie. Elegante, sobria e disinvolta come raramente le era capitato in precedenza su disco, la cantautrice inglese effonde letteralmente il suo cuore nei brani che ruotano intorno al tema dell’inevitabile separazione con il Beach Boy Dennis Wilson. Parallelamente, punteggia Mirage con una caratteristica non sempre associata alla musica pop più orecchiabile, ossia il peso emotivo e il senso di temuta accettazione di fronte ai sogni rinviati.
Nella ballata con pianoforte che chiude l’album “Wish You Were Here”, McVie canta su una delicata melodia «I wish you were here / Holding me tight» (“Vorrei che tu fossi qui / Per abbracciarmi stretta a te”). Per quanto abbiano sempre sperato in un destino diverso, per il componenti di Fleetwood Mac la distanza e la separazione furono sempre presenti nelle loro vite. Augurandosi che le cose potessero cambiare, cedendo alle insidie della nostalgia e sapendo che tutte le cose belle spesso non sono altro che un miraggio.
Fleetwood Mac
Love in Store
Can’t Go Back
That’s Alright
Book of Love
Gypsy
Only over You
Empire State
Straight Back
Hold Me
Oh Diane
Eyes of the World
Wish You Were Here
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